mercoledì 22 settembre 2010

LUCIO PICCOLO


Per i giovedì della galleria, giorno 23 settembre alle ore 18,30 nei locali di galleriaRoma via Maestranza 110, Salvo Sequenzia parlerà di:


SI DICE CHE IL SILENZIO ERA FUGGITO
Storia di Lucio Piccolo barone di Calanovella, poeta e mago


Riverberi d’echi, frantumi, memorie insaziate,
riflusso di vita svanita che trabocca
dall’urna del Tempo, la nemica clessidra che spezza,
è bocca d’aria che cerca bacio, ira,
è mano di vento che vuole carezza

Lucio Piccolo, La notte

«Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile; vaporano i fantasmi; […]. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore….tutto l’infinito che è negli uomini lei lo troverà dentro e intorno a questa isola». E’ per bocca del mago-poeta Cotrone, signore della Villa della Scalogna ne I Giganti della montagna di Pirandello, che facciamo ingresso nel mondo incantato e favoloso della poesia di Lucio Piccolo, un «mobile universo di folate» che rappresenta una delle più straordinarie vicende letterarie del Novecento.
Tale vicenda letteraria comincia nel 1954, quando il poeta invia ad Eugenio Montale le 9 Liriche stampate nello stabilimento tipografico «Progresso» di Sant’Agata di Militello. Entusiasta di quelle poesie, Montale presenterà lo stesso anno la silloge ed il suo autore ad un convegno di poeti a San Pellegrino. Da allora la vicenda letteraria del poeta dei Canti barocchi si mescola alla sua leggenda.
Lucio Piccolo di Calanovella nasce a Palermo nel 1903 da Giuseppe e Teresa Tasca Filangieri, appartenente ad una delle più antiche e nobili famiglie dell’isola, imparentata con I Lanza, I Notarbartolo di Villarosa ed i Moncada. L’autore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, era suo cugino. Il poeta ebbe residenza stabile a Palermo sino alla morte del padre, quando si trasferì a Vina di Capo d’Orlando, nella villa che divenne ben presto cenacolo di poeti, letterati, musicisti, maghi e scienziati. La sorella Agata era cultrice di botanica; il fratello Casimiro, studioso di parapsicologia, fotografo e pittore.
Lucio Piccolo fu studioso di filosofia, di scienze matematiche, astronomia, esoterismo; musicologo e compositore, conoscitore del greco antico, dell’ebraico e dell’arabo. Leggeva poeti e filosofi nei testi originali in tedesco, inglese, francese e spagnolo.
Piccolo ebbe una cultura di vastità e profondità enciclopedica e, pur muovendosi raramente dal suo eremo di Capo d’Orlando, fu a contatto con i maggiori poeti e letterati del suo tempo. Con il poeta Yeats ebbe una fitta corrispondenza sulla natura delle fate, che il fratello Casimiro dipingeva e fotografava nei giardini della Villa.
Cultura, memoria, magia, suggestioni ancestrali e sapienza orfica nutrono i versi di Lucio Piccolo; la sua poesia rivela la sua appartenenza a quel «sesto continente del pianeta piccolo e clandestino» che è la Sicilia, terra di miti brividata da ansie esistenziali e da urgenze speculative, popolata di fantasmi, nutrita di visioni e di attese. Poesia di incantamenti senza tempo, che fanno di questo poeta un “cantore”, più che un poeta nel senso della greca poesis. Non per nulla egli perseguì lungo tutto l’arco della vita l’ideale di una sapienza arcaica fondata sulla celebrazione della polarità che è, innanzitutto, “musica”. La sua perfetta conoscenza del greco antico e dell’aramaico, l’anelito costante alla scienza del numero pitagorica, lo studio del mondo delle ombre e dei suoi abitatori – fate, folletti, gnomi e creature fatue della notte – attestano una frequentazione costante, assidua, quasi sacerdotale, del poeta con una dimensione ed una realtà autre. Il suo essere trasognato, con lo sguardo sperduto verso orizzonti remoti e senza tempo, denota una immaginazione creatrice in cui la poesis seppe farsi profonda contemplazione, conoscenza visionaria, al modo degli iniziati di Eleusi.
Da questa sconfinata e traboccante immaginazione creatrice scaturisce una produzione letteraria originale e complessa, segnata da un linguaggio simbolico ed esoterico, da un perspicuo carattere orfico. Le raccolte Canti barocchi (1956) e Gioco a nascondere (1967) partecipano di tale dimensione visionaria, fragile, iniziatica e crepuscolare: «Sogno piani convessi/luminosi quadrangoli circolari/e l’infinito/chiuso in un anello».
La raccolta Plumelia (1967) e La seta (1984) rappresentano l’esito perfetto, la maturazione piena e consapevole della poesia di Piccolo, sia sul piano formale che su quello contenutistico. Come nei Canti barocchi e in Gioco a nascondere in Plumelia ritornano ricordi e impressioni dell’infanzia palermitana, immagini e visioni di luoghi e di paesaggi che trascendono il mero dato biografico e topografico per consegnarsi a una trama di richiami esoterici, mnestici, evocativi.
E’ la memoria il fondamento di questa poesia. Di quella Memoria che è Mnemosyne, madre delle Muse, che concede al poeta le immagini per una profonda riflessione sull’essere, sull’eterno, sulla fugacità, la morte, il male ed il tempo; la perennità della natura, la magia dell’universo, l’ansia del ritorno alle origini.
Ne La seta la raffinata mescolanza di toni di un fluido canto, in cui si depositano le scene di una natura che abbonda, si trasforma e svampa, costituisce la la dimensione stilistico-tematica precipua. Vibra un moto di pena esistenziale in questa poesia, assorbita dalla istanza della memoria, dalla intuizione di vertiginose ed ignote presenze cosmiche, che abitano e fecondano una natura meravigliosa e affannata, che il poeta coglie con preziose e abbaglianti cifrature barocche.
Lucio Piccolo si rivela poeta assorto, librato un una robusta direttrice di pensiero, nutrito di storia e di memorie, frequentatore di creature disincarnate, custode di segreti e di ombre, cifra intensa di un sostegno a un respiro poetico autenticamente governato dal senso della labilità dell’esistere, dal fuggire di ogni condizione della storia, mentre in un sospeso stato di attonita attesa, di meraviglia e scoperta, si levano i miti eterni dell’infanzia del mondo, stagione planetaria ora ritagliata a barlumi, oscura e raggiante, ora incedente nel Bosco sacro dell’universo, palpitante di vita, gremito di creature portatrici di nostalgie ancestrali, gravido di incantagioni e di umori, dove «sale la delizia del sangue dà fili/di porpora a le foglie, batte/nei petali e la corolla/s’apre al verace respiro;/ma si ferisce la mano/che la coglie e gioia e dolore/chiude l’istesso cerchio» (Il raggio verde e altre poesie inedite, Terza Esperide).

Cotrone: -Respiriamo aria favolosa. Gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi; e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore. Udiamo voci, risa; vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d’ombra, creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole della nostra isola.
LUIGI PIRANDELLO, I Giganti della montagna

Salvo Sequenzia

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

Ingresso Libero


Info:
0931/746931
0931/66960 (orario apertura Galleria)
cell.338/3646560
corradobrancato@hotmail.com

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